Benvenuti nella République de Chanel. Parte 7. Coco in guerra: profumo di scandalo (e di collaborazionismo)

Tra il Ritz, un ufficiale nazista e qualche manovra discutibile: gli anni più controversi (e meno profumati) di Mademoiselle.

LE GRANDI CASE DI MODA

ilsensei

7/3/20252 min read

Nel 1940, mentre l’Europa brucia sotto il peso della guerra e della barbarie, Chanel fa una scelta: non schierarsi con le vittime, ma con chi detiene il potere.
È una delle pagine più dolorose e controverse della sua storia.
Una di quelle che non si possono riscrivere con eleganza né giustificare con il contesto.

Con l’arrivo dei tedeschi a Parigi, Chanel chiude la maison – ufficialmente per crisi, in realtà anche per scelta.
Si trasferisce all’Hotel Ritz, che non è un semplice albergo, ma la sede del comando nazista.
Qui intreccia una relazione con Hans Günther von Dincklage, ufficiale delle SS e agente dei servizi segreti tedeschi.
Non è un flirt mondano. È una complicità duratura, documentata, consapevole.

In parallelo, cerca di sfruttare le leggi razziali per annullare il contratto con i fratelli Wertheimer, ebrei e suoi soci nella proprietà del profumo Chanel N°5.
Con un cinismo che lascia senza parole, tenta di usare l’antisemitismo legalizzato per reimpadronirsi di ciò che lei considera “suo”.
Non ci riuscirà. I Wertheimer, fuggiti in America, si erano già mossi per proteggere i loro interessi. Ma il gesto rimane.
E pesa.

Durante l’occupazione, Chanel viene coinvolta anche in missioni di intermediazione politica tra Germania e Inghilterra – una mossa che si rivelerà inutile e anche un po’ farsesca.
Nel dopoguerra sarà interrogata come sospetta collaborazionista. Non verrà processata.
Non perché innocente, ma probabilmente per via di interventi politici ad alto livello: Churchill stesso pare fosse intenzionato a “proteggerla”.

Ma la questione morale resta aperta.
Mentre milioni di persone venivano perseguitate, deportate, uccise, Chanel viveva al Ritz. Elegante, distante, alleata di chi aveva tolto tutto a molti.

Ci sono storie che non si salvano con lo stile.
Questa è una di quelle.
E raccontarla è un dovere. Non per cancellare tutto ciò che Chanel ha rappresentato nella moda, ma per ricordare che nessuna genialità può coprire l’odore della complicità.